Il
canto di Ulisse, XXVI dell’Inferno, si offre alla meditazione in ogni tempo per
la sua capacità di coinvolgerci sul tema della conoscenza e dei suoi limiti.
L’eroe dantesco è colto nel suo ardore
di divenir del mondo esperto e nella
sua proverbiale capacità di coinvolgere i suoi nel folle volo che lo porterà al di là delle colonne d’Ercole. Il suo
ardore ha i caratteri dell’assolutezza: nessun affetto familiare ha la forza di
trattenerlo al di qua della sua meta, ma il suo ardore sarà punito. Il canto
infatti si chiude con la tempesta che travolge il piccolo equipaggio. Meditare
su questo canto significa riproporre il tema dei limiti che possono ancora
trattenere ogni uomo dal lanciarsi nell’alto
mare aperto dell’esperienza. Questo si configura quale terra inesplorata
che attrae e spaventa, e le colonne d’Ercole continuano, forse, a rappresentare
quei limiti oltre i quali l’ansia conoscitiva umana può tradursi in naufragio. Come
vive l’Ulisse che è in ciascuno di noi? Con quali poste in gioco si confronta?
Quali criteri, se di criteri si può parlare, regolano i nostri percorsi
esperienziali?
Introduzione al XXVI canto
Prima parte Canto
Intermezzo di Laura Mollica
Seconda parte Canto
Intervento conclusivo di Laura Mollica
Epilogo prima della meditazione

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