giovedì 13 Febbraio 2025
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Traccia della conversazione di Augusto nella Giornata mondiale della filosofia
Come è noto, ogni anno il 21 novembre è la “Giornata
Mondiale della Filosofia”. L’UNESCO ha istituito questo anniversario nel
2002 perché “la filosofia è una disciplina che incoraggia il pensiero critico e
indipendente e in grado di favorire una migliore comprensione del mondo,
promuovendo la pace e la tolleranza” e ha invitato i governi, le istituzioni
che svolgono funzioni educative e le organizzazioni che operano sul territorio
a realizzare iniziative che coinvolgano la popolazione in attività di carattere
filosofico.
In sintonia con questo invito dell’Unesco la “Casa dell’equità e della
bellezza” di Palermo, che dirigo, ha deciso di dedicare un incontro odierno a un
tema di particolare attualità, almeno in Italia: il nesso fra filosofia e politica.
Ogni filosofia, infatti, ha conseguenze
politiche (volute o preterintenzionali): pensiamo, solo per fare un
esempio classico, a Platone che immagina la sua Res pubblica (= Stato) in un poderoso “dialogo” e per ben tre
volte, a rischio dell’incolumità personale, si reca a Siracusa per tentare di
realizzarla, almeno parzialmente. Non solo ogni filosofia comporta effetti
politici, ma ogni politica implica
presupposti filosofici (consapevoli o irriflessi): mi sono quasi
divertito, nel mio Il Dio dei mafiosi (San
Paolo, 2012), a estrarre dai documenti della Lega e da varie dichiarazioni di
suoi esponenti la visione-del-mondo (concezione dell’uomo, della società, dello
Stato, del divino, della morale, del partito, della famiglia, dell’impegno
politico, del lavoro, dello straniero, della donna, degli omosessuali, del
popolo, dell’istruzione, della religione…) di questa formazione partitica
apparentemente così poco filosoficamente attrezzata.
Se questo nesso fra filosofia e politica è davvero così inscindibile,
ogni filosofo che si dichiari “a-politico” o è un ingenuo o è un disonesto.
Tuttavia la filosofia può interagire con la sfera politica in almeno due
maniere radicalmente differenti (che, l’opinione comune, tende a identificare).
In un primo senso – il più diffuso – la filosofia è “usata” per dare
alla politica una fondazione culturale e per renderla più efficace
operativamente. Per intenderci, in questo caso la filosofia si adatta al ruolo
di “ideologia”, non solo nel senso svalutativo di mascheramento di interessi
inconfessabili (in cui Marx bollava come “ideologie” le teorie politiche
diverse dalla propria), ma anche nel senso propositivo in cui anche il marxismo
ha costituito la base teorica, dottrinaria, del socialismo ‘reale’ e dei tentativi (sinora
abortiti) di comunismo moderno. Per evitare fraintendimenti, dico subito che la
funzione dell’ideologia (in senso positivo, esplicito, costruttivo) non ha
nulla di disprezzabile: secondo una formula cara a un mio docente universitario
di filosofia, “nelle cose pratiche di somma importanza la cosa più pratica di
tutte è una buona teoria”. Solo che – dev’essere chiaro – se è ideologia, non è
filosofia (in senso proprio).
Invece la filosofia può interagire con la sfera politica anche in una
seconda maniera che ne preserva l’ originarietà
autentica. E’ quando la filosofia rinunzia a voler essere “utile” per
concentrarsi esclusivamente sulla ricerca del “vero” (qualsiasi cosa significhi
per un filosofo la “verità”). In questa angolazione, la filosofia esercita il
ruolo di riserva critica
(delle ideologie e dei sistemi politico-sociali ad esse legati) e di produzione utopica (di nuovi,
possibili, ipotetici scenari). Quando si configura così, la filosofia risulta
inutile (l’utopia non è realizzabile da nessun partito organizzato, da nessun
movimento storico: indica una direzione verso cui procedere), anzi fastidiosa
(perché individua e addita le contraddizioni interne e le lacune nei vari
sistemi ideologico-politici su cui riflette). Il filosofo in quanto tale sguscia come
un’anguilla dalle mani di chi prova a impossessarsene con la seduzione del
potere: per questo non di rado dev’essere soppresso con la violenza. Egli vive
ai margini, sulla linea di confine del mondo della polis: abbastanza ‘dentro’ per osservare, soffrire, partecipare,
abbastanza ‘fuori’ per avere la libertà di contestare l’esistente e di
immaginare l’improbabile. Ma è proprio
se è dentro/fuori la polis che egli
può servire davvero i concittadini e, come Socrate, riconoscere nella sua
attività di indagatore molesto l’apporto più urgentemente politico di cui essi
hanno bisogno. Insomma, la filosofia può porsi a servizio dei cittadini, specie
nei tempi oscuri della politica, quando riesce a percorrere lo stretto sentiero
fra i due abissi dell’indifferenza rispetto alle cose del mondo, da una parte,
e della prostituzione ai progetti di questo o di quell’atro schieramento
partitico, dall’altra parte. Fuor di metafora: quando resta fedele al suo
compito costitutivo di andare oltre i “veli” dell’apparenza evitando tanto di
mostrarsi sdegnosamente estranea alla storia quanto ideologicamente asservita
ai poteri dominanti in un determinato periodo storico.
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