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Meditazione proposta da Maurizio Muraglia; leopardi

Percorsi della fragilità umana in letteratura: LEOPARDI

"Canto della durata" - Domenica di chi non ha chiesa 10 novembre

Cosa sono le "Domeniche di chi non ha chiesa"

Incontro della "domenica di chi non ha chiesa" - 10 novembre 2019
Maria Di Carlo propone una meditazione sul "Canto della durata" di Peter Handke

Da “Canto alla durata” (1986) di Peter Handke (Nobel per la letteratura 2019)

… la sensazione della durata (è) come il momento in cui ci si mette in ascolto, … ci si raccoglie in se stessi, … ci si sente avvolgere, … ci si sente raggiungere da cosa? Da un sole in più, da un vento fresco, da un delicato accordo senza suono in cui tutte le dissonanze si compongono e si fondono… 
Inutile forse dire che la durata non nasce dalle catastrofi di ogni giorno, dal ripetersi delle contrarietà, dal riaccendersi di nuovi conflitti, dal conteggio delle vittime. Il treno in ritardo come al solito, l’auto che di nuovo ti schizza addosso lo sporco di una pozzanghera, …, la morchella che ogni anno rispunta in un angolo diverso del giardino, il cane del vicino che ogni mattina ti ringhia, … quel sogno terrorizzante sempre uguale di perdere la donna amata, l’eterno nostro sentirci improvvisamente estranei fra un respiro e l’altro, lo squallore del ritorno nel tuo paese dopo i tuoi viaggi di esplorazione del mondo, quelle miriadi di morti anticipate…, ogni giorno la radio che racconta un attentato, ogni giorno uno scolaro investito, ogni giorno gli sguardi cattivi dello sconosciuto: è vero che tutto questo non passa - non passerà mai… -, ma non ha la forza della durata, non emana il calore della durata, non dà il conforto della durata. 

… L’estasi ha sempre un che di troppo, è la durata invece la cosa giusta. Eppure l’accenno al giardino di casa non vuol significare che si possa raggiungere la durata con una residenza stabile e con le abitudini. E’ vero che essa deriva da atti quotidiani ripetuti attraverso gli anni, ma non dipende dalla permanenza in un luogo e da itinerari consueti. Mai ho sentito la durata standomene al solito posto - in quello star seduto in silenzio che si dice faccia diventare “santi” -, mai ho sentito la durata seduto a un tavolo riservato ai clienti abituali… non ho mai sentito la durata consumando le “pietanze favorite”, ascoltando la “canzone preferita”, passeggiando lungo la “mia” strada.

Certo la durata è l’avventura del passare degli anni, l’avventura della quotidianità, ma non è l’avventura dell’ozio, non è l’avventura del tempo libero (per quanto attivo).

E’ dunque connessa col lavoro, con la fatica, con l’impegno…? Neanche, perché se avesse una regola richiederebbe allora un paragrafo e non una poesia. Io infatti l’ho vissuta anche viaggiando, sognando, tendendo l’orecchio, giocando, contemplando, in un campo sportivo, in una chiesa, in molti pisciatoi.

Vorrei avvicinarmi comunque all’essenza della durata, potervi accennare, parlarne in modo giusto, farla vibrare, quell’essenza che ogni volta mi ridà slancio. Eppure in un primo momento mi viene di intonare soltanto una litania fatta di singole parole:
sorgente, prima neve, passeri, piantaggine, albeggiare, imbrunire,… accordo.

Sulla durata non si può fare alcun affidamento: nemmeno la persona religiosa che va ogni giorno a messa, neppure chi è paziente, l’artista dell’attesa, nemmeno colui che ti è fedele e che senza esitazioni sarà sempre con te, può averne la certezza per tutta la vita. Credo di capire che essa diventa possibile solo quando riesco a restare fedele a ciò che riguarda me stesso, quando riesco a essere cauto, attento, lento, sempre del tutto presente a me stesso sino nelle punte delle dita.

E qual è la cosa a cui restare fedele? Apparirà nell’affetto per i vivi - per uno di loro – e nella consapevolezza di un legame (anche solo illusorio). E questa non è una cosa grande, particolare, non è insolita, sovrumana, non è guerra, non è un allunaggio, non è una scoperta, un capolavoro del secolo, la conquista di una vetta, un volo da kamikaze: io la condivido con altri milioni di persone, con il mio vicino e allo stesso tempo con gli abitanti ai margini del mondo, dove grazie a questo fatto comune si crea lo stesso centro del mondo che è qui accanto a me. Si, questo fatto dal quale con gli anni scaturisce la durata è di per sé poco appariscente, non fa conto parlarne ma è degno di essere affidato alla scrittura: perché dovrà essere per me la cosa più importante, dovrà essere il mio vero amore. E io, affinché da me nascano i momenti della durata e diano un’espressione al mio volto rigido e mettano nel mio petto vuoto un cuore, devo assolutamente esercitare un anno dopo l’altro il mio amore. Restando fedele a ciò che mi è caro e che è la cosa più importante, impedendo in tal maniera che si cancelli con gli anni, sentirò poi forse del tutto inatteso il brivido della durata e ogni volta per gesti di poco conto, nel chiudere con cautela una porta, nello sbucciare con cura una mela, nel varcare con attenzione una soglia, nel chinarmi a raccogliere un filo. 

Il canto alla durata è una poesia d’amore. Parla di un amore al primo sguardo seguito da numerosi altri primi sguardi. E questo amore ha la sua durata non in qualche atto, ma piuttosto in un prima e in un dopo e il dopo anche un prima. Ci eravamo già uniti prima di esserci uniti…

Eppure la durata non è legata all’amore fra i sessi. Essa può in egual modo avvolgerti nel continuo esercizio dell’amore per tuo figlio e anche in questo caso non con le coccole, i baci, le carezze, ma anche qui soltanto attraverso cose secondarie, arrivando alla strada maestra per vie traverse, l’atto d’amore per cui servendolo lasci in pace il tuo bambino. La durata accanto a tuo figlio rivive forse nei momenti di ascolto paziente, nell’attimo in cui tu con lo stesso gesto accurato col quale dieci anni fa appendevi all’attaccapanni il cappotto azzurro con cappuccio “taglia bambini”, adesso appendi una giacca di pelle scura “taglia adulto” a un attaccapanni diverso in una citta diversa, la durata con tuo figlio ti può cogliere ogni volta che rinchiuso da ore nella stanza con un lavoro che ti sembra utile, senti quello che nel silenzio ancora mancava alla giustezza del tutto: il rumore della porta che si apre, segno del suo ritorno a casa... E tu senti la durata con il tuo discendente nel modo più intenso forse quando ti rendi invisibile osservandolo di nascosto lungo la strada di ogni giorno, quando precedi l’autobus in cui è salito per poi veder passare, tra una fila di estranei dietro al finestrino, quell’unico viso familiare o quando semplicemente ti immagini da lontano di vederlo fra gli altri, protetto dagli altri, rispettato dagli altri nella calca della metropolitana.

Ma anche sapermi per anni essere ben disposto nei tuoi confronti può darti durata. Sapermi guardare amichevolmente negli occhi talvolta mi assolve. Essere capace di pensare al bambino che ero, significa già ritrovarlo. Essere indulgente con i miei difetti (non con i miei eccessi) rabbonirmi, se mi viene fatto un torto, come mio unico parente, battermi il petto in trionfo per una parola felice al posto giusto…

Singolare è il sentimento della durata anche alla vista di certe piccole cose quanto meno appariscenti, tanto più toccanti: un cucchiaio che mi ha accompagnato in tutti i miei traslochi, un asciugamano appeso nelle stanze da bagno più diverse, la teiera e la sedia di vimini per anni lasciata in cantina o accantonata da qualche parte e ora finalmente di nuovo al suo posto, un altro, in verità, diverso da quello originario e tuttavia al suo posto.

… felice chiunque abbia i propri luoghi della durata! Anche se venisse portato lontano senza prospettive di ritorno nel suo mondo, non sarà più esule.

E anche i luoghi della durata non rifulgono di splendore, spesso non sono nemmeno riportati sulle carte oppure sono senza nome…

… su entrambi questi laghi regna lo stesso soave momento della durata e tutte le volte che posso vado in pellegrinaggio laico di qua o di là. Nel silenzio di questi laghi so cosa faccio e sapendo cosa faccio so chi sono. Sto sulle loro rive con occhi e orecchi aperti e lascio che cali la sera. Vari sono i rumori degli uccelli acquatici grazie ai quali il silenzio diventa più vasto. Io imparo dal silenzio…

Quando mi avvicino a questo luogo, mai scendendo da un veicolo, sempre a piedi, … posso sperare nell’incanto in cui ogni mio rimuginare si dissolve e il mio pensare diviene un pur riflettere sul mondo. Le chiacchiere dentro di me, un tormento fatto di mille voci, lasciano il campo alla meditazione, una sorta di silenzio redentore dal quale poi arrivando in quel luogo s’innalza un pensiero esplicito, il pensiero più elevato: salvare, salvare, salvare! 
In una scossa così dolce quanto violenta… celebro nella radura la festa di ringraziamento per l’esistenza di questo luogo. Il doberman nero… può ora tranquillamente fiutarmi dietro le ginocchia.

Arthur, l’ultima volta che venni a Parigi eravamo d’accordo di andare di nuovo insieme alla Fontaine Sainte-Marie. Ma poi, arrivato lì con te, dopo una buona ora passata assieme, ebbi l’impulso, contrariamente a quanto deciso, di continuare la strada da solo e ti ho mandato a casa. Tu avevi capito - traduttore non di professione ma di cuore, compagno nel pensiero, attore del testo, amico - senza bisogno di spiegazioni… te ne tornasti trotterellando in città... anche tu, come me, sentivi il desiderio di stare da solo in compagnia della durata. Si, Fontaine Sainte-Marie o Porte des Lilas, voi siete amate.

Ma viaggiare di persona, andare ogni anno come in pellegrinaggio e per devozione, per sentirmi scosso dalla durata, questo supplemento di entusiasmo mi è veramente ancora necessario?... Nel frattempo non sento più il bisogno di fare lunghi viaggi verso i luoghi della durata. Anche nell’assenza, improvvisamente, quando me la prendo comoda, avvitando tranquillamente una lampadina, soppesando una pietra con la mano, maneggiando qualcosa con cura, si impadronisce di me, forse, il silenzio frusciante del lago di Griffen… Mi sono educato ad attendere la durata senza la fatica del pellegrinare.

Eppure il semplice starsene a casa non basta; io devo andare incontro alla durata. Andare incontro a ciò che mi è caro o dirigermi in quel senso mi dà fiato in modo più forte e più durevole di una corsa di resistenza.

Non a chi sta seduto a casa ma al viandante sul cammino del ritorno si avvicina la durata come a Odisseo bisognoso di aiuto la sua divina amica Pallade Atena. Ma anche a casa mi si fa accanto molte volte quando cammino su e giù per il giardino, nella neve, nella pioggia, al sole, sotto il temporale, guardando il bosso ondeggiante, l’albero di tasso trapunto di tele di ragno, gli uccelli che si tuffano nell’aria… oppure quando mi siedo nella mia stanza - al cosiddetto tavolo da lavoro – non per attendere alla mia occupazione, al testo, ma per fare tutti quei soliti gesti secondari: spostare indietro la sedia, dare uno sguardo nel cassetto con i mozziconi di matita raccolti nel corso degli anni, sbirciare dalla finestra in giardino dove i gatti lasciano le loro tracce…, mentre ascolto da diverse direzioni a seconda del vento…

E’ vero: la durata non è un’esperienza collettiva. Essa non forma un popolo. E tuttavia nello stato di grazia della durata finalmente non sono più io solo. La durata è il mio riscatto, mi lascia andare ed essere. Animato dalla durata io sono anche quegli altri che già prima di me sono stati sul lago di Griffen, che dopo di me gireranno attorno alla Porte d’Auteil e tutti quelli con cui sarò andato alla Fontaine Sainte-Marie. Sostenuto dalla durata, io, essere effimero, porto sulle mie spalle i miei predecessori e i miei… successori, un peso che mi eleva.
Per questo la durata doveva essere chiamata grazia, le sue immagini e i suoi suoni non hanno forse quel bagliore e quel tono che ci si aspetta?... La scossa della durata già di per sé intona un canto, dà un ritmo alle parole che, elemento scatenante, nelle mie vene fa battere il palpito di un epos in cui alla fine il bene trionferà.

Quando la durata impone le mani si chiude la ferita di cui mi accorgo solo quando si sta rimarginando.

Il pungolo della durata è ciò che mi è mancato. Chi non ha mai provato la durata non ha vissuto.

La durata non stravolge, mi rimette al posto giusto. Senza esitazione rifuggo la luce abbagliante dell’accadere quotidiano e mi riparo nell’incerto rifugio della durata.

Durata si ha quando in un bambino - che forse è già vecchio – ritrovo gli occhi del bambino.

Durata non c’è nella pietra immortale, preistorica, ma dentro il tempo, nel morbido.

Lacrime di durata, troppo rare!, lacrime di gioia. Incerte, non invocabili, non implorabili scosse della durata, custodite ora siete in un canto.



Riassunto dalla post-fazione a “Canto alla durata”

Il sentimento della durata, inteso come una continuità nel tempo, legata al proprio io, è vissuto come qualcosa di più che l’insieme scoordinato di desideri e ricordi. 
La rievocazione di quelle esperienze fa evadere dalla casualità del quotidiano e intuire qualcosa che misteriosamente unisce con il mondo, con le cose e con gli altri.
La durata non dipende dal regolare e ciclico ripresentarsi di fenomeni o di eventi. Non si avverte nel ritorno di cose effimere o sgradite e nemmeno di fronte alla bellezza o a ciò che acquista un senso.  La felicità vissuta durante la gita in barca sulla costa turca fa nascere in Handke la nostalgia di casa e della semplice quotidianità. Questo perché, nella gita in barca, la bellezza estatica non deriva dal proprio esistere ma è indotta dallo scenario circostante, ed è quindi una bellezza che proviene dall’esterno. In quella condizione, l’io può provare malinconia e sofferenza.  

La durata non può essere espressa se non in una poesia narrativa, che riecheggia qualcosa che ritorna, di lontano nel tempo e nel paesaggio, che abbiamo vissuto e che è sempre legato alle persone che abbiamo amato. E’ un trasalimento, un brivido, una scossa: è la sensazione di vivere. 
Ciò che acquista durevolezza non è un segmento di tempo misurabile, ma una frazione di eternità, che non si può provare a semplice richiesta. A volte è l’attimo breve in cui riusciamo a scrollarci di dosso il torpore dell’abitudine a vivere. Si trova in momenti di epifania, quando d’improvviso qualcosa che esisteva già prima di quel momento si ripete in una versione diversa e abbiamo la sensazione che nella vita vi sia una specie di intimo legame, anche se non conduce in un porto sicuro. 
E’ qualcosa di diverso dalla felicità. E’ una specie di calma, di acquietamento. Per Holderlin siamo “umani sofferenti (che) ciecamente precipitano da un’ora all’altra, scagliati come l’acqua di roccia in roccia”. Ma su queste rocce a volte vi sono attimi in cui l’uomo può prendere fiato, per quanto poi si continui a cadere.

“Credo nei luoghi, non quelli grandi ma quelli piccoli, quelli sconosciuti, in terra straniera come in patria. Credo i quei luoghi senza fama né risonanza, contraddistinti solo dal semplice fatto che là non c’è niente , mentre intorno c’è qualcosa dappertutto. Credo nella forza di quei luoghi perché là non succede più nulla e non succede ancora niente”. 

La durata è un’intuizione che, come in Bergson, è piuttosto un sentimento, che nasce sommando in sé le immagini connesse a momenti referenziali della memoria e dell’autocoscienza individuale: la consapevolezza di una persistente continuità del proprio io, l’emozione nell’avvertire che qualcosa perdura, come l’esistenza di un luogo, il ricordi di un affetto, la vista di oggetti cari, la parola scritta.
La durata contrapposta alla transitorietà, all’effimero, è però cosa brevissima, un sussulto, una scossa.
Come sensazione di vivere è necessaria per ogni esperienza autentica  e di quella autenticità è la lentezza ad imporsi come condizione. 
L’attenzione come forma profana della preghiera.

Nulla a che vedere col rimpianto per luoghi incontaminati, non depredasti dal consumo, ma piuttosto di luoghi vissuti come vere e proprie “soglie”. 






da Maria Di Carlo, 10 nov. 2019

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