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Meditazione proposta da Maurizio Muraglia; leopardi

Percorsi della fragilità umana in letteratura: LEOPARDI

Le 5 tappe verso una vita degna di essere felice - Considerazioni sulla meditazione del 13/11/19

Cos'è la meditazione del mercoledì?


Meditazione del 13 novembre 2019
Conduce Augusto Cavadi sul tema:
Le cinque tappe
verso una vita degna di essere felice


          
LE CINQUE TAPPE
verso una vita degna di essere felice

·      Tutti aspiriamo alla felicità, pochi la sperimentano per brevi periodi e se mai – per il resto – godono di vita serena e intensa. Pervenire a questo stadio di felice serenità dipende da noi, ma non soltanto da noi. Ciò che possiamo è renderci degni di una vita felice: se poi le circostanze indipendenti dalla nostra libertà ce lo consentiranno, sarà un dono della Vita.
·      Essere degni di una vita felice significa diventare spiritualmente adulti, maturi. Significa imparare a lasciar cadere foglie e rami secchi del nostro albero, a lasciar fiorire quanto più possibile le nostre potenzialità: fisiche, psichiche, intellettuali, morali…
·      Nel XII secolo un monaco certosino, Guigo II, ha codificato una “scala” di crescita spirituale che – più o meno ritoccata – è entrata nella tradizione cristiana. Quasi mille anni dopo, questo itinerario verso la piena maturità è ancora valido? Se si assume nello stesso senso in cui lo ha tracciato l’autore medievale, la mia risposta è negativa. Esso, infatti, era radicalmente e interamente centrato sulla Bibbia, ritenuta una Sacra Scrittura rivelata “parola per parola” (verbatim) da Dio stesso. Oggi sappiamo che quei modi di dire (“Dio mi disse…”, “Il Signore apparve e comandò…”) sono patrimonio di tutte le letterature arcaiche (compresi i primi testi sapienziali e filosofici greci: cfr. la rivelazione della Dea nel poema di Parmenide): dunque o si interpretano tutti come resoconti storici realistici o si assumono tutti come accorgimenti retorici (come sarebbe di gran lunga più ragionevole).
·      Se, invece, le cinque tappe indicate dal monaco medievale vengono re-interpretate alla luce di una spiritualità ‘laica’, post-confessionale (o, se si vuole, pre-confessionale), mi pare che esse conservino intatta la loro significatività. Solo che, al posto della Bibbia, dovremmo pensare – più ampiamente – al mondo: al mondo della natura e al mondo della cultura (dunque anche alla Bibbia, ma vista come uno degli innumerevoli tasselli di quel grande mosaico che è la storia dell’umanità: sullo stesso piano dei testi, ritenuti o meno sacri, di tutte le grandi tradizioni sapienziali). Insomma: il Libro a cui ci riferiremo in questa rilettura è il Mondo in tutta la gamma delle sue espressioni naturali, storiche, artistiche, filosofiche, religiose.
·      Premetto solo un’avvertenza: il passaggio da un gradino al successivo non è mai stato – e non è tuttora – la chiusura della ‘pratica’ precedente, bensì la ri-problematizzazione del modo di intenderla e di viverla. Ogni volta che passiamo da una tappa all’altra siamo indotti a ripensare criticamente, e a sperimentare più intensamente, la tappa precedente.

Lectio
   Il primo passo è la lectio (= lettura). Guigo II si riferiva, come accennavo sopra, alla lettura di un passo della Bibbia. Oggi ritengo sia opportuno riferirsi alla lettura in senso più ampio: si tratta di leggere la realtà. In concreto: giornali, libri, film, ma prima di tutti gli avvenimenti della nostra esistenza e della storia planetaria. Hegel, un filosofo a cavallo fra Settecento e Ottocento, sosteneva che la lettura del quotidiano fosse la preghiera dell’uomo moderno. E’ chiaro che qui non si tratta di inseguire le curiosità e i pettegolezzi, ma di fornirsi di strumenti per capire ciò che accade vicino e lontano rispetto a noi: è un legere per intus-legere, un informarsi per penetrare-dentro. E’ un desiderio sincero, attivo, laborioso di capire il cosmo e la storia di quel microscopico pianetino che vaga nel cosmo in attesa di dissolversi per sempre.
 Capire non è mai un atto puramente cerebrale: non si può capire un fiore senza aspirarne il profumo né un gatto senza accarezzarne la pelliccia. Capire davvero un’altra persona significa sintonizzarsi con le sue emozioni, con i suoi sentimenti, in qualche modo con il suo pre-conscio. E capire se stessi significa, anche, saper ascoltare la propria dimensione corporea e darle modo di esprimersi nei modi che ci sono più congeniali per inclinazione genetica e per apprendimento ambientale.

Meditatio
    Alla lectio, secondo il monaco medievale, dovrebbe seguire la meditatio (=meditazione). Leggere è aprire gli occhi sul mondo per registrare i dati; meditare è chiudere gli occhi per “ruminare” i dati registrati. Già: prima dell’era digitale la difficoltà maggiore era procurarsi le informazioni; ai nostri giorni, invece, è filtrarle criticamente. Un giovane pensatore contemporaneo (Yuval Noah Harari) sostiene che il potere oggi è sapere cosa ignorare.  Rischiamo l’overdose di notizie, di ipotesi, di teorie: abbiamo bisogno di categorie selettive e ordinatrici. Ma che significa filtrarle criticamente? Significa imparare a esprimere “giudizi”. Imparare a sbilanciarsi: “questo è vero”, “questo è falso”, “questo è probabile”, “questo è improbabile”… Un provvedimento legislativo o è (sostanzialmente) costituzionale o non lo è; un farmaco anticancro o è (generalmente) efficace o non lo è; un imputato o è (probabilmente) colpevole o non lo è…Certo non è necessario che ci esprimiamo su tutto, anche su ciò su cui non abbiamo competenza. Ma neppure possiamo sempre, per principio, sospendere il diritto – e ancor prima il dovere – di giudicare. Anche nelle questioni morali? Qui va distinto il peccato dal peccatore. Posso avere un giudizio molto chiaro sul “non rubare” o “non uccidere” in quanto reati, comportamenti oggettivi; ma astenermi dal giudicare se, in particolare e in concreto, chi ha compiuto un determinato furto o un determinato assassinio ha agito bene o male. Insomma giudicare è un dovere in tutti i campi, tranne quando si tratta della coscienza di un’altra persona: qui, e solo qui, vige il comandamento di “non giudicare”.

Oratio
  La terza tappa, dopo la lectio e la meditatio, è l’oratio (=preghiera). Ma pregare, oggi, nel XXI secolo, ha ancora senso? Molti abbiamo superato da tempo la preghiera utilitaristica che chiede protezione e assistenza per sé o per le persone care o per l’umanità intera: presupporrebbe che Dio dosi – e orienti - la sua benevolenza attiva in base all’insistenza con cui questo o quell’orante implora grazia presso il suo ”trono”. Qualcuno vedrebbe in quest’ottica il trionfo del “teismo” più antropomorfico. Ma c’è un pregare che è un sostare davanti agli enigmi della natura e della storia per scrutare se, tra gli interstizi di un mondo dove il caos e il logos si contendono pariteticamente il campo, riluca un Senso più profondo. Pregare è insomma farsi punto interrogativo di fronte al Mistero che ci circonda e ci sorpassa. Per qualcuno è probabile che questo Senso radicale, questo Mistero onni-abbracciante sia un Soggetto pensante e amante (sia pur in una misura assolutamente incomparabile con le nostre limitate capacità di pensiero e di amore): “Quando nella mia vita – nelle ore grandi e nelle ore piccole – mi rendo conto di essere confinante con il mistero ineffabile, santo e amante che chiamiamo Dio; quando mi pongo davanti a questo mistero, e in un certo senso mi abbandono a lui nella fiducia, nella speranza e nell’amore; quando accetto questo mistero, allora io prego – spero di pregare” (così il teologo Karl Rahner). Per altri, su ciò che non vediamo e non tocchiamo, non si può ipotizzare nulla: e allora, secondo la parola di Wittgenstein, “pregare è pensare al senso della vita”.

Contemplatio
 La preghiera è un atteggiamento di attesa, di ricerca, di interrogazione di cui si ha coscienza. Eppure ci sono dei momenti, o delle fasi della vita, in cui sembra di non attendere più nulla, di non cercare più nulla, di non interrogarsi più su nulla. Il Mistero non ci sta più, per così dire, “davanti”: vi ci troviamo immersi “dentro”, come tuffati in un mare calmo. Non sappiamo “dove” siamo, ma sappiamo di essere al “posto” giusto. Con un grande senso di pace, ci avvertiamo al di là della speranza e della disperazione: ci vediamo come un puntino appena appena visibile nel grande Tutto. Che ne sarà di noi? Propriamente parlando, non ci interessa più saperlo. Comunque finirà, sarà bene; o, per lo meno, lo accettiamo sin d’ora come un bene. Ci siamo liberati dal nostro punto di vista individuale, dunque parziale, sull’universo: lo contempliamo, per così dire, dal punto di vista della Totalità.  Ecco come possiamo balbettare la traduzione contemporanea e laica della quarta tappa: la contemplatio (= contemplazione).

Actio
 E’ la contemplazione il vertice della vita spirituale matura? Alcuni lo sostengono. Ma nella tradizione cristiana c’è una quinta tappa (dopo lectio, meditatio, oratio, contemplatio) che talvolta è stata considerata una sorta di appendice, ma che altri ritengono davvero – a mio avviso con ragione - il culmine dell’esperienza autenticamente spirituale. Un racconto chassidico può aiutarci a intuire di che si tratta. Un rabbino ha fama di salire, quando si apparta nel bosco fuori il villaggio , sino al settimo cielo. Un suo collega, invidioso, vuole verificare se è vero e una sera – senza farsi vedere -  lo segue per spiarlo. Viene così a conoscere che il rabbino si recava a trovare un’anziana vedova sola, a spaccarle la legna da ardere, a sistemare per lei il focolare. Ritornato al villaggio, a chi gli chiede se il suo collega si fosse elevato davvero sino al settimo cielo. “No.” – risponde - “Sale ancora più in alto”. Il vertice della mistica è l’actio (=azione). Nel racconto chassidico è un gesto di solidarietà corta, diretta - nel nascondimento -  a una sola persona bisognosa. Ma a maggior ragione vale per la solidarietà lunga, diretta al bene comune: al bene della polis (=città). Nel linguaggio della Teologia della Liberazione ciò si esprime nella formula: la mistica più alta è la mistica politica. Lo stesso Paolo VI insegnava con insistenza che l’attività politica fosse la forma più alta di carità, di agape, di amore oblativo.
 La politica come servizio e non come dominio è dura, logora. Perciò chi la pratica deve aver cura di ricaricarsi le energie fisiche e psichiche regalandosi intervalli di quiete, di contemplazione del bello, di convivialità amicale. Da un politico incapace di pace interiore non ci si può aspettare che disastri. Chi ha responsabilità di governo ha il dovere, prima ancora del diritto, di attingere a fonti dissetanti e rigeneratrici. Solo così potrà non dimenticare che lo scopo di ogni fatica è il riposo, l’otium, la festa: come ripeteva l’anarchica statunitense Emma Goldman, “se non posso ballare, non è la mia rivoluzione!”.


Augusto Cavadi
Casa dell’equità e della bellezza
Meditazione di mercoledì 13 novembre 2019
integrata con alcuni suggerimenti  provenienti dalla condivisione dei presenti


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